Il sambuco, sambucus nigra, è una piccola pianta molto diffusa in tutta Europa e nel Mediterraneo, soprattutto nella macchia e in
...E' autunno, stagione di passaggio e di metamorfosi. La natura si mescola con la luce ambrata regalando pomeriggi sempre più brevi. Gli animali al pascolo si muovono lenti e il tintinnio dei campanacci si confonde con l'abbaiare lontano dei cani fonnesi. Ma ogni giorno, un'altra alba è pronta a sorgere e gli alberi da frutto sono vivaci e generosi, prima che tutte le foglie cadono, aranciate e violacee, dipingendo i sentieri di tappeti variopinti.
Andiamo a vederli più da vicino, i nostri frutti autunnali.
CACHI
Kaki
Autunno è la stagione del passaggio. Gli alberi perdono le foglie e il tempo dei cachi è arrivato. Conosciuto come mela d’Oriente per le sue origini giapponesi (kaki in giapponese), il cachi si diffonde in Italia e in Sardegna intorno alla metà nel XIX secolo, grazie all'arrivo delle ferrovie che facilitarono la sua diffusione.
Amato dai mezzadri e contadini perché rustico e facile da coltivare, il cachi sopravvive facilmente anche se si trascura e si mostra sempre generoso di frutti, quelli tondi, arancioni e molto carnosi che avvolgono il paesaggio autunnale rendendolo particolare.
La pianta appartiene alla famiglia delle Ebenacee ed è chiamata In alcune regioni d’Italia “Legno santo”, grazie all’ estrema durezza del legno, oppure “frutto degli Dei”, dalla traduzione dal greco del suo nome scientifico Diospyros kaki.
E ancora ... l'albero delle sette virtù: per la durata della sua vita oltre la media, per la sua chioma dispensatrice di molta ombra, perché non ospita nidi, per la sua resistente ai tarli, per le sue foglie turgide e resistenti al freddo, per il suo legno durissimo e ottimo da ardere, per i concime prodotto dai i suoi frutti caduti. Insomma un perfetto alleato nell'orto e un'ottima fonte di benessere da non trascurare: la sua composizione è di circa 80% di acqua, 8% di zuccheri, 0,45 % di proteine, 0,5% di grassi, nonché una scorta di vitamina C e del gruppo B, beta-carotene e potassio.
Soffice e carnoso, dolcissimo e invitante, si consuma dopo averlo lavato bene; si taglia a metà e si gusta scavando la polpa con il cucchiaino. Nell'isola con la sua polpa, si preparano confetture consumare con il pane o i formaggi stagionati e da conservare almeno fino a Natale. E' proprio il frutto di cui si ha bisogno in autunno, la stagione di passaggio, prima del grande freddo.
MANDARINO
Mandarinu
Diffuso in tutta l'isola ma originario dell'Oriente, il mandarino fu introdotto in Sardegna, ai primi dell'800 dal marchese di Vallermosa, tant'è che ancor oggi le coltivazioni più vaste sono a Muravera, Villaputzu, San Vito, Monastir, Assemini, Decimomannu e, nell'Oristanese, a Milis, gli stessi territori del Marchesato. Un altro dato importante è che in Sardegna si producono più mandarini che arance e che la produzione isolana rappresenta circa il 5% di quella nazionale.
Il mandarino è un albero da frutto del genere Citrus, insieme al cedro e al pomelo. Secondo una recente teoria tutti gli agrumi derivano da queste tre sole specie, riconoscendo al mandarino importanza storica, in quanto si tratta dell'unico frutto dolce tra i tre originali. Il suo nome si riferisce sia al frutto che alla pianta. Il mandarino ha piccole foglie profumatissime. Il frutto è sferico, un po' appiattito all'attaccatura, e di facile raccolta. La polpa, arancio chiaro, è costituita da spicchi facilmente divisibili, molto succosa e dolce, con numerosi semi. La buccia, ricca di olio essenziale, è di colore arancione, sottile e profumata, di facile pelatura. Il mandarino ama i climi temperati e caldi come quelli dell'isola di Sardegna e il suo frutto è ricco di vitamina C e sali minerali, oltre a discrete quantità di potassio, calcio e fosforo.
I mandarini, superbi se consumati freschi, sono ottimi per la produzione di marmellate e frutta candita. Dalla scorza si ottiene un’essenza aromatica impiegata nella preparazione di liquori e per aromatizzare prodotti di pasticceria.
MANDORLO SARDO
Mandorla Arrubbia o Schina de Porcu
Già presenti sul territorio isolano nel lontano Medioevo, gli alberi di mandorle sono vigorosi ed eleganti con i loro meravigliosi fiori bianchi e rosa. In primavera trionfano fioriti nelle campagne e nei bordi nelle strade, disegnando il paesaggio sardo con scenari suggestivi ed emozionanti, che tanto ricordano le iconografie orientali. I mandorli sono sempre stati apprezzati per l'ottima produttività e per la buona fruttificazione; già il La Marmora ne documenta l'esportazione verso la Francia agli inizi del secolo scorso. Il territorio cagliaritano era quello più produttivo con le prime grandi coltivazioni specializzate. Ma negli anni '50 assistiamo ad un lento declino. Le campagne si spopolano e gli alberi di mandorlo sardo vengono abbandonati insieme all'agricoltura.Il frutto del mandorlo ha un mallo di colore rosso scuro che si distacca con facilità. La superficie si presenta rugosa, con pori grandi e radi, dal dorso poco incurvato. Il frutto all'interno del guscio si presenta lungo 39 mm, largo 28, e spesso 18 mm. Ogni mandorla ha un peso che varia, in media di circa 7 grammi e si riconosce dal gusto classico e rustico sapore. La mandorla sarda ha un maggior contenuto di olio, minor contenuto di acqua e profumi decisamente intensi. Ricca di grassi insaturi, e di vitamine E, di magnesio e di proteine vegetali di qualità. Le mandorle vengono usate sia tostate che crude in tutta la pasticceria. Indimenticabili i gueffus, il gattò, l'aranzada e soprattutto gli amaretti. E poi ancora il torrone, copulettas, i papassini e i sospiri.
MELOGRANO
Mela con i semi o Granada
Il termine melograno deriva dal latino malum (mela) e granatum (con semi). La stessa origine è presente anche in inglese “Pomegranate”, e in tedesco “Granatapfel” (mela coi semi). Era noto con il nome di "apple of Grenada" (mela di Granada). La cultura popolare vuole che il melograno sia un prodigio di Madre Natura, vista la sua capacità di crescere e sopravvivere in habitat semi-desertici e ostili. Il clima arido estivo ed le temperature invernali tipiche del Mediterraneo non sono garanzia contro ogni tipo di malattia, anche se si potrebbe pensare il contrario.
La pianta è di grande bellezza quando fiorisce ed è molto scenografica quando produce i frutti brillanti terminanti con una corona. Il melograno fa mostra di sé non solo in campagna e negli orti ma anche nei parchi e giardini; anche la varietà nana che viene coltivata in vaso sui terrazzi è molto decorativa ma produce frutti non commestibili.
Non solo. Già Ippocrate, padre della Medicina, attribuì al melograno poteri curativi: la corteccia delle radici prelevata in primavera o in autunno, e la scorza dei frutti raccolta in autunno, ricche di tannino, vengono tagliate a pezzetti e fatte essiccare all'aria. Da qui si ottiene una polvere, utilizzata come decotto, che ha proprietà tenifughe, astringenti, e sedativo nelle dissenterie; per uso esterno il decotto ha proprietà astringenti, per clisteri o irrigazioni vaginali. I preparati a base di corteccia di radici sono estremamente pericolosi, provocando fenomeni di idiosincrasia. La melagrana contiene delle sostanze attive nel mantenere in salute le arterie, l’apparato cardiocircolatorio in genere, e allontanare il rischio di malattie cardiache, infarto e ictus. In più può anche invertire i danni causati dal cibo spazzatura.
I semi eduli ricchi di vitamina C, hanno proprietà blandamente diuretiche, si usano anche per la preparazione di sciroppi e di bibite ghiacciate (“sherbet”, “sorbet”, “granatina”). Le scorze dei frutti hanno anche proprietà aromatiche e vengono utilizzate per dare il gusto amarognolo a Vermouth e aperitivi.
NOCE
Nuxi
Importato in Sardegna da tempi molto antichi, è un albero da frutto originario dell’Asia e dei Balcani, utilizzato anche per scopi ornamentali nei parchi, giardini. Predilige terreni freschi e permeabili e si sviluppa fino ai 1000 metri di altitudine. Il noce è un albero elegante e, grazie alle foglie odorose se stropicciate, emana un profumo gradevole di noce.
Viene coltivato in individui isolati, o in piccoli gruppi, per ricavarne l’ottimo frutto, tanto apprezzato e ricercato per il confezionamento dei dolci, come su pani 'e saba e is pabassinas.
Anticamente si credeva che le streghe si radunassero sotto il noce per i loro sabba demoniaci. L’albero ha così conservato nel tempo un ruolo sinistro e tenebroso: non andava piantato vicino alle case perché la sua ombra era portatrice di disgrazie. Con la cristianizzazione però il noce si è trasformato da albero funesto in pianta benefica, associata, addirittura a San Giovanni: dal mallo, la polpa verde della drupa, delle noci raccolte nella notte di San Giovanni si ricava un ottimo liquore: il nocino, panacea per tutti i mali.
NESPOLA
Albicocca invernale
L'albero del nespolo è diffuso in tutta Europa, ma le prime coltivazioni sono state rinvenute lungo le rive del mar Caspio, in Iran, in Turchia e poi in Grecia. La nespola, dalla forma tondeggiante con buccia sottile colorata di giallo arancio, assomiglia all’albicocca, ma si consuma d’inverno.
Da qui il nome di Albicocca invernale in quanto assomiglia all'albicocca ma si mangia nei mesi freddi. Le nespole vengono fatte maturare nella paglia, per diversi mesi: fino a gennaio o febbraio. Da qui il detto: "con il tempo e con la paglia maturano le nespole". All’interno del frutto si trovano da uno a quattro semi piuttosto grandi, lucidi, di colore marrone scuro. La nespola è giunta a maturazione quando la polpa diventa morbida e il colore è vivo. La buccia, inoltre, deve risultare liscia ed uniforme, priva di grinze ed ammaccature.
Anticamente ogni casolare di campagna aveva un nespolo nel proprio cortile: i contadini credevano che il nespolo potesse allontanare gli spiriti maligni e la sfortuna in generale. Scandiva anche il passaggio delle stagioni, in quanto è il primo albero a fiorire e l'ultimo a maturare; e ancora, una ricca fioritura del nespolo presagiva un abbondante raccolto.
UVA DA TAVOLA
Axina 'po ddu pappai (uva da mangiare)
Percorrendo le infinite coste dell'isola o addentrandosi in collina si incontrano filari di uva da tavola. La loro uva è appesa in grappoli corposi con i pibionnes (chicchi) lucenti, bianchi o neri. L'uva da vino non può essere mangiata a causa dell'acidità elevata, mentre l'uva da tavola è molto dolce e succosa.
In autunno, quando arriva a maturazione è ricca di zuccheri naturali. Infatti durante la maturazione gli acidi tendono a scomparire per far posto agli zuccheri.
La Sardegna si colloca al sesto posto in Italia per i quantitativi di uva prodotta. Sono tantissime le varietà coltivate, sia autoctone che importate, in grado di soddisfare la domanda interna di uva da tavola fresca, particolarmente nel periodo estivo con l'arrivo dei turisti nell'isola.
La prima sostanziale differenza, oltre alla classica tra uva bianca e uva rossa, è tra l'uva con semi e quella senza semi.
Tra le cultivar autoctone sarde di uva da tavola sono ancora presenti negli antichi vigneti a spalliera e hanno tutti nomi particolari come Corniola bianca e nera, Galloppo, Appersogia, Moscatellone, Regina, Zibibbo.