Dedico questa pagina ai Boschi della Sardegna, da me tanto amati, proponendo un passo dello scrittore Mauro Corona. Nel suo
...In Sardegna la pianta di melograno, anche se non autoctona, ha avuto sempre un posto d'onore in campagna, spesso vicino alla casa padronale, poiché nella cultura contadina si riteneva che portasse buona fortuna, abbondanza e fertilità. Una credenza portata nell'Isola dalle genti che circumnavigavano il Mediterraneo; si pensi che nel mondo islamico il melograno è l'albero del paradiso.
Su Modditzosu è un tipico pane del sud dell'isola e si dice che prenda il nome da un arbusto sempreverde, aromatico e resinoso chiamato in sardo Modditsi, Moddicci, Moddizzi ovvero il lentisco.
Anticamente i ramoscelli del lentisco venivano utilizzati per pulire il forno del pane. A contatto con il calore del fuoco rilasciavano la loro fragranza insaporendo così il pane e esaltandone pure la bontà.
Ma.... c'è sempre un ma... nel centro Sardegna e precisamente in Ogliastra lo stesso termine Moddiztosu significa Soffice così come il pane che, dalla notte dei tempi, si produce in questo territorio.
Sa gimminera (il caminetto) scoppietta da ore, il legno di corbezzolo, leccio e quercia profuma la stanza richiamando ricordi antichi.
Ricordi di genti e di uomini che hanno fatto la Sardegna. Primi tra tutti i pastori, eleganti con il loro abiti di velluto nero a coste, si destreggiano in montagna e nell'ovile come signori d'altri tempi. Preparano il formaggio e la ricotta con la stessa eleganza e maestria.
E come veri chef stellati preparano e sistemano nel piatto la Ricotta Mustìa, un tipo di ricotta di latte di pecora ottenuta dalle proteine del siero del latte.
Non so se il ciambellone sia un dolce della tradizione sarda, ma a casa mia era il dolce della domenica, dei compleanni o di altre occasioni festive. La sua sola presenza in tavola suscita ancora oggi emozioni festaiole nella mia famiglia, per altro fortunatamente numerosa.
Sarà per la sua forma armoniosa e... benaugurale, sarà per il suo profumo di burro, zucchero e... spensieratezza, sarà per la sua fetta alta, soffice e... invitante, il ciambellone di casa non tradisce mai le aspettative dei commensali.
Lo adoro e lo considero tra i miei dolci preferiti perché mi riporta, anche solo col pensiero, alle persone a me più care.
Nel cuore della Sardegna, un antico borgo si fa padrone del versante occidentale del Gennargentu. E' Desulo. Il suo fascino inizia nel centro storico, un gioiello di piccole case in scisto con ingressi e finestre contornati d’azzurro quasi fossero immutati nel tempo. Così come il costume tradizionale, dai colori sgargianti, una vera un'eccezione per le donne sarde, ricamato con tessuti preziosi, quali il velluto, damasco e scarlatto (panno di lana rosso).
E non finisce mai di stupire. I colori dei boschi circostanti variano a seconda delle stagioni e della luce del sole.
A fine estate, aromatiche e polpose, le nocciole di Desulo cadono dall'albero senza mallo, a un grado di maturazione corretta già di natura. La tradizione vuole che la raccolta sia compito delle donne con i bambini più piccoli.
Ed è in omaggio ai più piccoli che InsulaGolosaRicette vi propone la ricetta della Crema al cioccolato e nocciole di Desulo, una vera delizia per i bambini e non solo.
Nel parlare comune isolano si hanno dei modi di dire completamente diversi da quelli del resto d'Italia.
Ad esempio è facile sentir dire "hai le mani di ricotta” per descrivere il fare in cui tutto sfugge di mano, oppure quando non si riesce a tenere sotto controllo una situazione.
Ecco l’espressione idiomatica italiana corrispondente è: "hai le mani di pasta frolla”.
Fin qui nulla di strano, ma quando ho letto la ricetta di Sara, Pasticcini con la pasta frolla alla ricotta, ho pensato che solo le donne sarde, fiere e austere, ma anche sognatrici ambiziose, sanno tenere a bada la ricotta e la pasta frolla insieme...
Che dire, sono sempre pronte a mettersi in gioco e ne sanno una più del diavolo ♥
L'autunno aleggia tra i boschi con i suoi colori e porta in cucina i frutti più deliziosi e rari che madre natura ci offre: castagne, noci, cachi e le mele cotogne, dorate dal profumo inebriante. Pensate che le nostre nonne le tenevano negli armadi per profumare i corredi ricamati.
Relegato tra i frutti dimenticati il melo cotogno, in sardo Mela chidonza, è un alberello resistente alla siccità estiva e alle intemperie dell'inverno che in primavera si veste di boccioli d fiori rosa delicati. Le mele cotogne non si consumano a crudo perché troppo aspre e legnose, ma sono un ingrediente base per confetture, cotognate e conserve sciroppate.
InsulaGolosaRicette ha scelto una ricetta semplicissima per le fredde serate d'inverno, quella di mia nonna, poi di mia madre e ora mia.... da cui si ricava, non solo un elegante dessert da fine pasto, ma anche uno sciroppo non troppo dolce, lenitivo casalingo per il mal di gola e il mal di stomaco.
A volte, nelle giornate di pioggia, come oggi, realizzo che non sono mai andata in campagna a raccogliere le lumache. Puntualmente mi riprometto che appena esce il sole, prendo gli stivali e vado alla ricerca degli invertebrati più lenti del pianeta.
Ma, caso vuole, qualcosa di più importante sopraggiunge e dico a me stessa, che ci sarà una prossima volta.
L'autunno è quasi finito... ops! Ci sarà una prossima volta?
Le lumache, in lingua sarda, hanno nomi fantastici, difficili da ricondurre etimologicamente ad un'unica parola. Il nome cambia a seconda dei luoghi e dei paesi: Sizzigorrusu a Cagliari, Coccoide aCuglieri, Gioga a Florinas, Pizzicrogu a Ghilarza, Pettiazzusu a Nurachi, Vaccacorroso a Orani, Coccois a Nuoro...
Ebbene sì, noi sardi siamo fatti così: molto ospitali ma anche campanilisti, ovviamente nel senso più positivo del termine! Ma attenzione nel modo di dire comune, i sardi parlano di lumache, riferendosi alle chiocciole e non alle lumache senza casetta. E già questo è un bel dire!
Dalle mie parti, nel Campidano, le lumache, le chiamiamo sizzigorrus per via delle loro piccole corna (corrus) oppure boveris, quelle più grandicelle...
E non finisce qui, perché ci sono chiocciole, completamente diverse, che chiamiamo is mongettasa, piccoline e marroncine e poi ci sono anche is tapparasa, quelle piccole col tappo. Che dire, troveremo il tempo per riconoscerle e cucinarle tutte.
Intanto in questa pagina di InsulaGolosaRicette vi spiego come preparare Is sizzigorrus in sa bagna, un piatto antico, tipico della vita contadina dell'isola di Sardegna.
Credo che sia uno dei piatti della tradizione tra i più conviviali perché riunisce intorno al tavolo parenti e amici e li "costringe" a stare insieme per un lungo tempo.
E perché mai?
Semplice, i commensali per far uscire di casa le lumache devono destreggiarsi con pinze e forchettine, quindi per rompere l'imbarazzo, si raccontando storie di episodi di vita vissuta più che altro inventate, stimolandosi a vicenda e facendo la gara a chi la spara più grossa.
Protagonista autunnale delle tavole più glamour è la lumaca, molto amata in Sardegna, tanto che Gesico, piccolo paese nel Campidanese, è stato titolato, capitale della lumaca, grazie a una deliziosa sagra che si tiene ogni anno a ottobre.
Dopo i primi acquazzoni stagionali, consuetudine vuole che si vada per campi alla ricerca di lumache, in dialetto i sizzigorrus o bovaris.
Le lumache escono per nutrirsi solo se la vegetazione è bagnata, infatti non riescono a sopravvivere al sole e passano le ore del giorno ben nascoste in posti umidi, sulle rive dei fossati e sotto la folta vegetazione dove la temperatura si mantiene più fresca e il tasso di umidità è ottimale. Di notte escono per nutrirsi ... e di giorno solo dopo un bel temporale.
Proviamo la ricetta di InsulaGolosaRicette.
La stagione fredda è arrivata e le festività sono ormai alle porte, così InsulaGolosaRicette vi suggerisce un cocktail alla melagrana con struttura, aroma e colore tipicamente festaiolo.
Alcuni frutti semplici, melagrana e mela, regalati da madre natura e un buon prosecco sardo, fanno la giusta alchimia per un cocktail divertente e originale da offrire anche come aperitivo per il pranzo di Natale o la cena di San Silvestro. Parole d'ordine, Buon divertimento ♥
Finugu aresti
Il finocchietto selvatico è una pianta perenne e spontanea, dall'alto fusto alto. Possiede foglie di colore verde e produce in estate ombrelle di piccoli fiori gialli. Si utilizzano i germogli, le foglie, i fiori e i frutti (impropriamente chiamati "semi").
La raccolta del fiore del finocchio selvatico avviene a partire dalla metà d'agosto fino a ottobre quando il fiore è "aperto". Il fiore si può usare fresco o si può essiccare, all'aperto, ma lontano dai raggi diretti del sole, che farebbero evaporare gli olii essenziali. I frutti, come detto, impropriamente chiamati semi, si raccolgono all'inizio dell'autunno, quando è avvenuta la trasformazione del fiore in frutto. Le "barbe" o foglie e i teneri germogli, invece, si possono cogliere dalla primavera all'autunno inoltrato.
In cucina si possono usare tutte le sue parti. I "semi", che sono più o meno dolci, pepati o amari, a seconda della varietà, e le foglie o "barba", i rametti più o meno grandi utilizzati per cucinare le olive verdi schiacciate e confettate; le foglie si usano fresche e sminuzzate per insaporire minestre, zuppe e le insalate. I fiori si usano per aromatizzare, i funghi al forno o in padella, le olive in salamoia e le carni di maiale, come la salsiccia sarda fresca. E non dimentichiamo il "liquore di finocchietto", per realizzarlo si utilizzano i fiori freschi e/o i "semi" e le foglie.
Era usanza della tradizione contadina tenere nelle case, un rametto di finocchietto selvatico per allontanare le streghe o il maligno, soprattutto dai bambini. Si diceva infatti che le streghe non sapessero contare oltre il 7, quindi si intrattenevano a contare le punte del finocchio e si dimenticavano del loro iniziale intento.
Nella tradizione gastronomica sarda la gallina ha sempre avuto un posto d'onore. Fino a qualche decennio fa esisteva perfino la gallina di razza sarda, oramai estinta a causa dell'introduzione di altre razze e soprattutto per il cambiamento della società.
Era facile trovarla nei cortili delle case campidanesi o nei stazzi contadini.
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